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Antonio Gasbarone (nome che risulta così
sul registro dei morti, ma che è poi diventato nell’uso parlato
“Gasparoni”) nacque a Sonnino il 12 dicembre 1793 e morì
ad Abbiategrasso il primo aprile 1880. Originario di una
famiglia di pastori e orfano di entrambi i genitori a 15 anni, si ‘avviò’
al banditismo nel 1814 con l’uccisione del fratello della donna che aveva
chiesto in moglie e che gli era stata rifiutata, poiché egli risultava
essere fratello di brigante. Dapprima al seguito di un brigante calabrese
(detto appunto “il calabresotto”), e poi capo della propria banda, egli
visse alla macchia fino al 1825, quando, persuaso da un prelato di Sezze, decise
di consegnarsi allo Stato (allora Stato della Chiesa), nella
speranza di beneficiare presto di un’amnistia o di un lavoro. Rimase
invece in carcere fino al 1870, quando con l’Unità d'Italia
venne finalmente liberato. Rifiutato, tuttavia, dal suo paese
d’origine, condusse gli ultimi anni della sua vita nel quartiere
romano di Trastevere, finché, non godendo delle simpatie
delle autorità civili ed ecclesiastiche, fu inviato a
trascorrere i suoi ultimi giorni in una sorta di ospizio
nel nord Italia.
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La fama di Gasbarrone varcò i
confini dell’Italia prima ancora della sua morte, e si
costruì intorno alla sua figura un mito duraturo, che lo
ha fatto divenire uno dei più noti fuorilegge della
storia. La capacità di sfuggire alla cattura
e di mirare l’azione criminale spesso in difesa dei più
poveri ha alimentato la leggenda su questo “bandito
galantuomo”, la cui figura, insieme a quella di altri
briganti, sembra essere stata in qualche sintonia con un
certo ribellismo sociale presente nella comunità di Sonnino, che trovava le sue radici nella
particolare congiuntura storico-politica dello Stato
Pontificio, qui al confine col Regno di Napoli. |

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