Le traversate di Fiore Giottarella e di Maria Mezzoprete.
In ricordo di mio padre e di mia madre
che in questi giorni avrebbero compiuto 100 anni.

Di Giuseppe Musilli

Mio padre si chiamava Domenico Musilli, detto Fiore “Giottarella”, e mia madre Maria Rinaldi, detta Maria “Mezzoprete”. Sono nati rispettivamente il 25 gennaio e il 3 febbraio 1920, a 9 giorni di distanza. Riposano da qualche anno nel cimitero di Sonnino l’uno accanto all’altra. I soprannomi, tipici in un paese come Sonnino, derivano da una Luigia, poi divenuta Luigiotta, Giotta e Giottarella, nonna di mio nonno, che fu donna autorevolissima fino a dare il soprannome a tutta la casata e, quello di mia madre, Mezzoprete, per un suo parente che stava per diventare prete e si spretò.

                Scrivo questo breve testo perché dei grandi uomini e delle grandi donne si celebra il 100º anniversario della nascita (in questi giorni si parla molto di Federico Fellini a 100 anni dalla sua nascita). Io credo che in qualche modo nel nostro piccolo siamo tutti grandi uomini e grandi donne. E i nuovi e favolosi strumenti che ci hanno fornito Internet e l'era digitale ci consentono di celebrare i 100 anni dalla nascita di tutti quelli che sono stati grandi uomini e grandi donne per noi.

 

LE QUATTRO TRAVERSATE
DI NONNO PEPPE GIOTTARELLA

 

Nonno Peppo Giottarella e Nonna Lucia Pietricola

Mio padre, dicevo, è nato nel 1920. Da Giuseppe Musilli, (detto Peppo Giottarella) che finalmente nel 1919 era riuscito a tornare a casa per la terza volta dopo essere stato in America a lavorare. Peppo Giottarella era nato nel 1884, a Sonnino, da padre e madre poverissimi. Divenuto ragazzo cominciò a guadagnarsi qualcosa portando a pascere i maiali degli altri. Sottolineo che non aveva nemmeno maiali suoi, si occupava dei maiali degli altri. Così a 20 anni decise di emigrare in America. In realtà la parola emigrazione risulta troppo impegnativa se applicata a Lui. Mio nonno più semplicemente andava in America a lavorare. Ci rimaneva 3 o 4 anni e poi tornava e con il gruzzolo che riportava comprava della terra. Prendeva il piroscafo e attraversava l’oceano come oggi si prende il treno per fare un lavoro lontano da casa. Partì nel 1904. Mi disse che lavorava come operaio a costruire le fogne a Brooklyn. (Lui come tutti gli italiani emigrati la chiamava “Broccolino”). Andò e tornò dall’America 4 volte. 8 viaggi che duravano settimane. Da vecchio si vantava: “So’ attraversato 8 vote jo mare!”

                Dopo tre anni tornò a Sonnino, sposò la sua morosa, mia nonna Lucia Pietricola, morta a Bagnoli nel 1954 di ictus cerebrale mentre lavava le lenzuola. L'anno dopo, nel 1908, nacque Antonio Musilli detto Antonio “Caione”, il primo dei suoi 5 figli messi al mondo fra una traversata e l’altra. Dopo la nascita mio nonno fece un altro viaggio; tornò nel 1912 e nacque mio zio Giovanni Musilli, detto Giovanni “Doamoglie”. Tornato in America pensava di ripetere il suo viaggio di ritorno dopo tre o quattro anni, ma non aveva fatto i conti con la prima guerra mondiale. Mio nonno non tornò che nel 1919. Questo fatto ha avuto per mio padre, nato nel 1920, e per tutta la sua famiglia una certa importanza. Mio nonno non tornò perché gli americani glielo impedirono in quanto non si sapeva ancora come si sarebbe schierata l'Italia in quella guerra. Così bloccarono il ritorno di tutti i maschi che sarebbero potuti diventare soldati e combattenti contro di loro che già pensavano di dover intervenire in quella che fu detta “La grande guerra”. L'Italia entrò in guerra nel 1915 schierandosi contro la triplice alleanza (di cui era stata uno degli alleati) e a favore della triplice intesa. All’inizio della guerra in America mio nonno fu rinchiuso in un campo di lavoro per impedirgli appunto di tornare in Italia; quando fu liberato probabilmente decise di non tornare. Se fosse tornato sarebbe stato spedito al fronte. E infatti fu richiamato (aveva allora 32 anni) e ovviamente non si presentò. Questo fatto fu considerato dall’esercito come diserzione. Quando 30 anni dopo, nel 1946, mio padre, dopo aver fatto quattro anni di guerra, fece la domanda per diventare carabiniere, fu respinto perché suo padre Peppo Musilli era considerato disertore della prima guerra mondiale. Questo fatto mi ha impedito di essere il figlio di un carabiniere.

                Negli anni seguenti mio nonno ebbe due figlie, Luigia e Iolanda. Tornò ancora per poco tempo in America e poi tornò definitivamente in Italia. Nel viaggio di ritorno si fece male ad una mano e gli furono amputate tutte e 5 le dita della mano sinistra. Comprò altra terra incolta alla Sassa, alle Camminate e al campo di Sonnino e cominciò a fare il contadino.

                Mia madre è nata da Tommaso Rinaldi e da Amalia Cardarelli. Avevano una casa a Sonnino ma spesso abitavano a Capocroce. Anche mio nonno Tommaso Rinaldi era un emigrato in America, uno in cerca di lavoro come il nonno paterno. Con i soldi guadagnati dal lavoro in America tornò e cominciò a fare il bovaro. Comprò delle vacche e arava i campi degli altri e anche i campi di nonno Peppo. Di lui so meno perché è morto 10 giorni prima che io nascessi nel 1946 e niente mi ha potuto raccontare. Mia nonna Amalia è vissuta di più, ma io non l'ho frequentata come nonna Lucia. Ricordo solo le feste che mi faceva quando i miei mi portavano da Lei. Erano per me momenti di gioia. Nonna Lucia era più seria e più severa.

Amalia Cardarelli e Tommaso Rinaldi genitori di Maria Rinaldi

Mio padre, negli anni ’20, frequentò la scuola a Sonnino fino alla quarta elementare. Mia madre invece aveva la terza elementare. Ma suo padre, siccome a Capocroce non c'erano le classi successive, chiese alla maestra di fargli fare due volte la terza. E così fu. Debbo dire che in qualche modo mia madre, pur avendo solo la terza elementare, era più "istruita" di mio padre.

                Ma il mondo correva veloce. Pur avendo i miei genitori un livello di istruzione così limitato, tre dei quattro figli che hanno avuto si sono laureati. Ricordo ancora oggi l'orgoglio di mio padre che il giorno dopo la mia laurea, nel luglio del 1969, seduto sulla spalletta del ponte che portava alla nostra casa di Capocroce, con a fianco una bottiglia di Vecchia Romagna e dei bicchierini, offriva da bere a tutti quelli che passavano e che lo salutavano, perché il suo primo figlio si era laureato il giorno prima. Papà non venne ad assistere alla discussione della mia laurea, non ricordo perché. Venne mia madre e due dei miei fratelli, l'ultimo era molto piccolo. Anche i percorsi di vita e di studio degli altri fratelli li hanno resi molto orgogliosi.

Mio padre negli anni 30 ha lavorato alla bonifica delle paludi pontine. Quando ancora non era maggiorenne. Faceva il viaggio in bicicletta, come tutti i sonninesi, e scavava i fossi per drenare l’acqua. Andato militare lo sorprese la seconda guerra mondiale. Allora era già fidanzato con mia madre. Da soldato semplice fu destinato al fronte africano. Raccontava che il giorno che fu trasferito al sud per essere imbarcato per l'Africa, passando con il treno vicino a Capocroce, dove abitava mia madre, all'altezza del ponte (cosiddetto) di "Pecoreglio” mise un biglietto di saluto per mia madre dentro una bottiglia e la buttò dal finestrino del treno, sperando che qualcuno lo trovasse e lo consegnasse alla sua fidanzata. Il biglietto non fu trovato. Chissà se ancora giace dentro la bottiglia sulla scarpata della ferrovia vicino a Capocroce?

Mio padre ha fatto quattro anni di guerra, fino all'8 settembre del 1943. Per tutti questi anni ha scritto a mia madre ogni settimana. Da bambino ho visto queste lettere che non so poi che fine abbiano fatto. Lettere non lunghe, a volte sgrammaticate, piene di affetto e d'amore. Ma le invocazioni più belle e strazianti consistevano in poche parole, due o tre, che mio padre scriveva sotto i francobolli o in qualche altro posto, come dove i bordi della lettera si incollavano, per mia madre. Sperando che non fossero lette dalla censura e, credo, dai genitori di mia madre. Erano sempre parole d'amore che si potevano riassumere in un unico concetto: "sei sempre nella mia mente".

Cartolina Tobruch spedita da papa Fiore al futuro suocero Rinaldi Tommaso.
La data è 9-940 - notare scritta sotto il francobollo

 

LE TRAVERSATE DI PAPA' 

            L'Africa non portò bene a mio padre, che si ammalò e fu salvato avventurosamente. Partecipò a qualche scontro, citava spesso Tobruch dove momentaneamente gli italo-tedeschi superarono gli alleati, ma prima degli scontri di El Alamein si ammalò di dissenteria. Un problema che non riuscì a risolvere. Fu soggetto a molte ricadute e passò varie settimane sopra una brandina prima che la questione fosse risolta in modo drastico. Il suo capitano, su consiglio dell'ufficiale medico che la vedeva ormai brutta, gli propose di essere rimpatriato facendo il viaggio di ritorno su un piccolo aereo postale che ogni settimana faceva il percorso da Sciacca fino in Africa e ritorno, portando e riportando la posta per i militari e dei militari. Era un piccolo monomotore a due posti, che volava molto basso, quasi sull'acqua. La contraerea alleata non lo bersagliava. Sapevano che non era armato e che trasportava la posta. Il percorso di andata e ritorno si faceva in poche ore e nello stesso giorno, una volta a settimana. Papà, spossato dalla dissenteria, ormai confinato in una brandina in infermeria, accettò la proposta. Non aveva mai volato e non lo fece mai più. Si sistemò nel posto dietro il pilota e per qualche ora, ad ogni minimo ondeggiamento del piccolo velivolo, non fece altro che irrigidire i piedi sul pavimento della cabina come fa il passeggero di una macchina quando si rende conto che si sta per andare a sbattere. Mi raccontò questo particolare, quello dell’irrigidimento dei piedi sul pavimento, un paio di volte e una volta vi accennò anche mia madre. La paura di quella traversata lo aveva segnato molto. Immagino quello che passò! Fu per lui la traversata della vita. Arrivò a Sciacca, fu trasportato al Celio di Roma e finalmente fu curato. Gli rimase però una colite cronica che a volte lo tormentava e per cui ebbe una piccola pensione militare perché fu dichiarato invalido di guerra, seppur di 7° categoria.

Africa 1940

Al Celio di Roma incontrò di nuovo un suo compagno d'infanzia e cioè Luigi Grenga. Luigi era figlio di Napoleone Grenga, medico e grande possidente di Sonnino che aveva una casa vicino al vicolo di “Tocco” dove mio padre era nato e dove sono nato anch'io. Luigi e papà si conoscevano, avevano giocato insieme a “balle a Tocco” da bambini. Luigi era diventato medico, come il padre Napoleone, e lavorava al Celio di Roma. Quando io nacqui nel 1946 Luigi divenne il mio padrino di battesimo. Per mio padre e per me sono stati, i Grenga, persone squisite e amichevoli. “Sor Luigi Grenga” veniva da Roma quasi ogni sabato, curava le persone gratuitamente e riceveva gli amici. Alla fine della guerra, come colonnello medico del Celio, spinse mio padre a fare la pratica di invalidità, cosa che gli consentì di avere una piccolissima pensione, ma che soprattutto gli consentì di essere assunto, ormai più che quarantenne, come usciere al Ministero della difesa di Roma. Per mio padre fu un cambio di vita. Ma ne parliamo più avanti.

    La guerra per papà non era finita. Se il soldato Musilli soffriva il caldo africano bastava trovare una destinazione meno calda! Fu così che mio padre divenne alpino e fu spedito ad Udine. Ad Udine la guerra non c'era e ad Udine lo trovò l'armistizio dell'8 settembre. Il 9 settembre cominciò il fuggi fuggi generale dalle caserme. I soldati aiutati dai civili dismisero la divisa, si vestirono di abiti sempre troppo ampi o troppo stretti e cominciarono il loro viaggio verso casa. Papà arrivò a Sonnino oltre un mese dopo. Durante il viaggio si formò una piccola compagnia di soldati sbandati che viaggiava di notte, prendeva le tradotte, ma scendeva sempre prima di arrivare alla stazione, perché alla stazione c'erano i tedeschi che controllavano. Arrivò a Sonnino e in paese si fece vedere il meno possibile. Se ne stette alla Sassa dove mio nonno aveva piantato gli ulivi e la vite e dove viveva in una capanna che diventò col tempo una piccola casetta. E questa fu la seconda traversata della sua gioventù. Percorse tutta l'Italia da Udine a Sonnino in più di un mese, ma su queste vicende non scese mai nei particolari. Le vicende della guerra lasciarono in papà un velo di silenziosa apprensione. Da giovane era gioviale e scherzoso, al ritorno dalla guerra divenne più serioso e più contenuto nel parlare. Così almeno raccontava mamma.

Papà Fiore Musilli in Africa.
Nel retro è scritto:  "Io e Trinca Loreto prima della ginnastica"

          A Sonnino decise di sposare finalmente la fidanzata a cui aveva scritto ogni settimana per quattro anni. Il matrimonio avvenne il 21 gennaio del 1944 o forse il 22 gennaio (si dovrebbe controllare la data precisa nei registri della parrocchia di San Giovanni). Mia madre mi ha raccontato che mentre si sposavano sentivano un rombo di cannone lontano. Erano gli americani che prima di sbarcare cannoneggiavano la spiaggia di Anzio e la terra retrostante per avere pochi problemi al momento dello sbarco. Per tutto il giorno continuò il rombo dei cannoni, anche mentre fu consumato il breve e per nulla pantagruelico pranzo di nozze. Da questi fatti deduco che il matrimonio si sia celebrato il 21 o il 22 gennaio. Lo sbarco di Anzio avvenne il 22 gennaio 1944.

Finalmente il matrimonio dunque! E l'attesa del primo figlio. Ma questo figlio, che sarei io, non arrivò che il 18 gennaio del 1946. Cioè con più di un anno di ritardo. Più di qualche volta mia madre mi disse che fui molto atteso e che ho tardato ad arrivare. Senza fare altre precisazioni. Solo pochi mesi fa mia moglie mi ha raccontato che a lei mia madre aveva confidato che io arrivai in ritardo perché papà aveva un'infezione che dovette curare. Forse un regalo del periodo passato a Udine o del lungo viaggio di ritorno.

                Una decina di giorni prima che io nascessi, come ho già detto, morì mio nonno Tommaso, detto Tomasuccio “Mezzoprete”. Fu così che mia madre chiese che il figlio che Le stava per nascere si chiamasse Tommaso. Ma mio nonno Peppo Giottarella si oppose con una frase che mia madre mi ha ricordato più di una volta: "Per nove mesi si è chiamato Giuseppe, ora per 10 giorni non può diventare Tommaso!" Bisogna ricordare che papà e mamma, giovani sposi, vivevano alla Sassa con nonno e nonna e ritengo sia stata una soluzione giusta il chiamarmi Giuseppe. Al fonte battesimale di San Giovanni a Sonnino il parroco, Don Guido, informò i miei genitori che ci volevano altri due nomi perché così si usava in chiesa. È così che nei registri parrocchiali io mi chiamo Giuseppe, Tommaso e Guido. Tommaso per il nonno appena deceduto e Guido, scelto lì per lì, per omaggiare il prete che mi battezzava. Dopo di me la famiglia si è arricchita con Tommaso, con Enzo e infine con Manlio, in famiglia chiamato Luciano. Manlio per ricordare la nonna Amalia e Luciano per ricordare la nonna Lucia. Se consideriamo che io, pur chiamandomi all’anagrafe Giuseppe, in famiglia sono conosciuto come Peppino, e che papà pur chiamandosi Domenico Musilli per tutta la vita fu conosciuto come “Fiore Giottarella” ci vuol poco a dedurre che noi sonninesi, per quando riguarda i nomi siamo piuttosto creativi. E per i soprannomi qualche volta addirittura geniali.

                Negli anni 50 papà e mamma coltivavano e raccoglievano le olive alla Sassa, piantavano e coglievano i carciofi al campo di Sonnino. Molto lavoro, pochi soldi. Io andavo dal 1951 ad una scuoletta pluriclasse aperta proprio nel 1951 in un garage alla Sassa. 4 km ad andare e 4 km a tornare. A piedi, in un sentiero quasi sempre fangoso. 12, 13 alunni dai 5 a 12 anni, dalla prima alla quarta elementare. Io ero l’alunno più piccolo e non avevo ancora 6 anni. Dopo di me ci sono andati anche i miei fratelli Tommaso, Enzo e Manlio. A scuola me la cavavo bene e ricordo quello come un periodo felice. I maestri cambiavano ogni anno, ma li ricordo con piacere. Ho avuto come maestro quello che poi è diventato il Prof. Bernardini (detto “Cocchelitto”) e la maestra che è diventata la farmacista Pellegrini. Il mio primo libro fu Pinocchio, che un maestro mi regalò da leggere durante l’estate. Eravamo poveri, ma non lo sapevo. Mi mancavano, vivendo in campagna, i riferimenti di paragone. Finite le elementari, attraverso l’intercessione di una zia suora, Suor Geminiana, (fra le famiglie di papà e di mamma avevo 4 zie suore), fui mandato in un collegio dei salesiani a Roma. Ciò mi ha permesso di fare le medie, che a Sonnino allora non c’erano, e il liceo e infine di laurearmi.

Altre due traversate.

               La svolta nella vita di mio padre ci fu nei primi anni ’60. Ministro della Difesa divenne un giovane politico democristiano, Giulio Andreotti. Fece votare una legge per cui gli invalidi di guerra potessero essere assunti per chiamata diretta, cioè senza concorso. Fu una giusta legge (poi è stata estesa ai disabili). Andreotti la utilizzò per sistemare molti ex combattenti e per costruire una sua corrente all'interno della Democrazia Cristiana. A molti ex combattenti invalidi, soprattutto del Lazio, fu fatta la proposta di essere assunti al Ministero della Difesa a Roma. A Sonnino ne furono assunti 4. A papà lo propose il maestro Virgilio De Angelis, consigliere comunale e poi sindaco di Sonnino. Papà all’inizio era tentato, ma non convinto; lo incoraggiò mia madre. Ben presto si convinse di aver fatto la scelta giusta e di aver dato una svolta alla sua vita. Da contadino povero che sbarcava il lunario coltivando un piccolo campo di carciofi, piantando mezzo ettaro di vigna, oppure producendo poche centinaia di litri di olio, divenne un “impiegato” con un piccolo stipendio che non gli consentiva di fare il signore, ma che arrivava sempre e con ogni tempo; sia che il freddo gelasse i carciofi e sia che il caldo danneggiasse le olive. In realtà papà con la sua quarta elementare era un semplice usciere. Di quelli che controllano i corridori e annunciano le visite. Un lavoro da niente in confronto a zappare la terra, potare gli alberi, raccogliere le olive, accudire gli animali e soprattutto alzarsi ogni mattina prima dell'alba. Una volta, parlando del suo lavoro a Roma mi disse: "Non avrei mai immaginato che ci fossero tanti lavori all'ombra!" Il suo lavoro fino ad allora era stato sempre all'aperto, al sole.
           Questo passaggio fu un cambio di vita importante. Anche se mio padre non ha mai abbandonato il lavoro della campagna. Ma questa importante traversata gli impose, prima malvolentieri e poi con sempre più convinzione un secondo percorso. Prese la tessera della Democrazia Cristiana per partecipare ai congressi e per dare il voto alla corrente di Giulio Andreotti. Papà non era solito esporsi nella vita pubblica o nella politica; pensava di non esserne all'altezza e fece questa attività con qualche riserva e molto defilato. Ma non si rifiutò quando gli fu chiesto di mettersi in lista e di concorrere come consigliere al Comune di Sonnino. Era una persona stimata e risultò il primo dei non eletti; a causa delle dimissioni di un altro consigliere ha fatto parte del Consiglio Comunale di Sonnino per tre o quattro anni alla fine degli anni ‘60. Con un certo orgoglio, compreso delle sue funzioni. Fu questa per papà l'ultima traversata. Bisogna dire che Sonnino nel secolo scorso ha avuto fama di essere un comune di sinistra. Già all'inizio degli anni 20 era governato da un sindaco socialista. Lo stesso avvenne nel secondo dopoguerra per periodi piuttosto lunghi. Anche papà all'inizio degli anni 50 aveva qualche simpatia socialista, ma non si era mai dichiarato pubblicamente. A fianco della traversata da contadino ad “impiegato” c’è dunque anche quest’ultima traversata, da persona riservata ad esponente pubblico e nel partito della DC. Vi militò, se così si può dire, convintamente, ma non era quello per cui provava simpatie in gioventù. Bisogna dire che anche per me, che mi stavo laureando, Lui aveva fatto qualche progetto politico all’interno della DC. Ma terminata l’università, conclusa in quello che fu il grande subbuglio del ’68/69, io mi scrissi al PCI; non senza qualche accesa discussione con papà e con una certa sua delusione. Fu in quel periodo che disse una frase che non dimentico per la sua potenza esplicativa da vecchio contadino che non smise mai di coltivare la terra e di curare le piante: mio figlio "ha rescoppato allo salevatico!” Intendeva dire che le piante selvatiche che vengono innestate, a volte, mettono rami rigogliosi nell’antico ceppo selvatico. E il ceppo selvatico erano le sue simpatie giovanili per la sinistra.
 
             Quattro furono dunque le traversate di papà Fiore nel corso della sua vita: le 2 durante la guerra e le 2 negli anni ’60. 4 traversate come i 4 viaggi in America di nonno Peppo.

Papà ha continuato a fare il contadino mentre andava a Roma ogni giorno. Appena possibile è andato in pensione, sommando i 4 anni di guerra, che valevano il doppio, con quelli di servizio. E poi è vissuto ancora una decina d'anni lavorando ogni giorno la terra. Ma facendolo per passione e per soddisfazione personale e non con l'ansia di dover nutrire la famiglia. Riposa per sempre dal 1993.

                Mamma è stata nella vita molto più defilata di papà. Ha messo al mondo e ha allevato quattro figli maschi che nella vita se la sono cavata decentemente. Ha lavorato la terra a lungo come papà e con papà. Per decenni si è alzata quando si alzava lui, ha lavorato dove lavorava lui, alla Sassa o al campo di Sonnino, facendo con lui un percorso di ore, solo con un asino e un carretto. È intervenuta nelle decisioni di famiglia con grande autorevolezza e spesso indirizzando papà verso le decisioni giuste. Per la nostra famiglia è stato un punto di riferimento importantissimo. Mamma ha fatto tutte le traversate di papà, accanto a Lui e sostenendo Lui. È stata prevalentemente dietro le quinte, ma la sua funzione è stata essenziale. Noi figli ne siamo orgogliosi come per papà. Riposa dal 2000.

 

 Buon 100° compleanno a tutti e due!